REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. di Palma Salvatore Presidente
Dott. Bisogni Giacinto Consigliere
Dott. Acierno Maria Consigliere
Dott. di Marzio Mauro Consigliere
Dott. Lamorgese Antonio Pietro Consigliere relatore
SENTENZA
sul ricorso 20724/2014 proposta da:
(OMISSIS)
ricorrente
contro
(OMISSIS)
controriccorente
avverso la sentenza n. 1670/2014 della CORTE D'APPELLO di Milano, depositata il 27/03/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/02/2017 dal Consigliere Dott. Lamorgese Antonio Pietro
udito, per la ricorrente, l'Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito, per il controricorrente, l'Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Ceroni Francesca che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
Fatti di Causa
1. Il Tribunale di Milano ha dichiarato lo scioglimento del matrimonio, contratto nel (OMISSIS), tra G.V. e L.L.C. ed ha respinto la domanda di assegno divorzile proposta da quest'ultima.
2. Il me della L. è stato rigettato dalla Corte d'appello di Milano, con sentenza 27 marzo 2014.
2.1. La Corte, avendo ritenuto che il luogo di residenza della L. (convenuta nel giudizio) fosse a (OMISSIS),ha rigettato l'eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Milano, a favore del Tribunale di Roma, ove era la residenza o il domicilio del ricorrente G., da essa sollevata sul presupposto della propria residenza all'estero, a norma della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 4, comma 1; ha ritenuto poi non dovuto l'assegno divorzile in favore della L., non avendo questa dimostrato l'inadeguatezza dei propri redditi ai fini della conservazione del tenore di vita matrimoniale, stante l'incompletezza della documentazione reddituale da essa prodotta, in una situazione di fatto in cui l'altro coniuge aveva subito una contrazione reddituale successivamente allo scioglimento del matrimonio.
3. Avverso questa sentenza la L. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi, cui si è opposto il G. con controricorso. Le parti hanno presentato memorie ex art. 378 cod. proc. civ..
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente ha denunciato la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 1, per avere la Corte d'appello affermato la competenza per territorio del Tribunale di Milano, essendo invece competente il Tribunale di Roma, ove era la residenza o il domicilio del ricorrente G., essendo la convenuta
residente all'estero.
1.1. Il motivo è infondato. Premesso che, contrariamente a quanto sostenuto dal G., la questione della competenza è stata riproposta in appello e che su di essa, quindi, non si è formato il giudicato, la sentenza impugnata ha ragionevolmente valorizzato quanto dichiarato dalla L. (convenuta nel giudizio) nell'atto di appello, e in altri atti giudiziari, circa la sua residenza a (OMISSIS), che corrispondeva a quanto risultava dalle certificazioni anagrafiche, giudicando irrilevante la diversa indicazione, resa all'udienza presidenziale, di essere residente a (OMISSIS), luogo quest'ultimo rientrante pur sempre nella competenza del Tribunale di Milano; inoltre, ha adeguatamente argomentato in ordine a(la mancanza di prova della residenza all'estero della L., ritenendo inidonea a tal fine la mera disponibilità da parte della medesima di un'abitazione negli Stati Uniti.
La decisione impugnata è, pertanto, conforme al principio enunciato da questa Corte che va ribadito , secondo cui la domanda di scioglimento del matrimonio civile o di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario va proposta, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 1, (nel testo introdotto dal D.L.
14 marzo 2005, n. 35, art. 2, comma 3bis, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 14 maggio 2005, n. 80, art. 1, comma 1), quale risultante a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale (sentenza n. 169 del 2008), al tribunale del luogo di residenza o domicilio del coniuge convenuto, salva l'applicazione degli ulteriori criteri previsti in via subordinata dalla medesima norma (Cass. ord. n. 15186 del 2014).
2. Con il secondo motivo la L. ha denunciato la violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, per avere la Corte milanese negato il suo diritto all'assegno sulla base della circostanza che lo stesso G. non avesse mezzi adeguati per conservare l'alto tenore di vita matrimoniale, dando rilievo decisivo alla riduzione dei suoi redditi rispetto all'epoca della separazione, mentre avrebbe dovuto prima verificare la indisponibilità, da parte dell'ex coniuge richiedente, di mezzi adeguati a conservare il tenore di vita matrimoniale o la sua impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive.
Con il terzo motivo la L. ha denunciato vizio di motivazione, per avere omesso di considerare elementi probatori rilevanti al fine di dimostrare la sussistenza del diritto all'assegno.
Con il quarto motivo la ricorrente ha denunciato la violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., per avere i giudici di merito escluso il diritto all'assegno, disconoscendo la rilevanza della sperequazione tra le situazioni reddituali e patrimoniali degli ex coniugi e dando erroneamente rilievo agli accordi raggiunti in sede di
separazione che, al contrario, indicavano la disparità economica tra le parti e la mancanza di autosufficienza economica della L..
2.1. Tali motivi sono infondati.
Si rende, tuttavia, necessaria, ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 4, la correzione della motivazione in diritto della sentenza impugnata, il cui dispositivo come
si vedrà (cfr. infra, sub n. 2.6) è conforme a diritto, in base alle considerazioni che seguono.
Una volta sciolto il matrimonio civile o cessati gli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio religioso sulla base dell'accertamento giudiziale, passato in giudicato, che "la comunione spirituale e materiale tra i coniugi non può essere mantenuta o ricostituita per l'esistenza di una delle cause previste dall'art. 3" (cfr. artt. 1 e 2, mai modificati, nonchè la L. n. 898 del 1970, art. 4, commi 12 e 16) , il rapporto matrimoniale si estingue definitivamente sul piano sia dello status personale dei coniugi, i quali devono perciò considerarsi da allora in poi "persone singole", sia dei loro rapporti economicopatrimoniali (art. 191 c.c., comma 1) e, in particolare, del reciproco dovere di assistenza morale e materiale (art. 143 c.c., comma 2), fermo ovviamente, in presenza di figli, l'esercizio della responsabilità genitoriale, con i relativi doveri e diritti, da parte di entrambi gli ex coniugi (cfr. art. 317 c.c., comma 2, e da artt. 337bis a 337octies c.c.).
Perfezionatasi tale fattispecie estintiva del rapporto matrimoniale, il diritto all'assegno di divorzio previsto dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, nel testo sostituito dalla L. n. 74 del 1987, art. 10 è condizionato dal previo riconoscimento di esso in base all'accertamento giudiziale della mancanza di "mezzi adeguati" dell'ex coniuge richiedente l'assegno o, comunque, dell'impossibilità dello stesso "di procurarseli per ragioni oggettive".
La piana lettura di tale comma 6 dell'art. 5 "Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive" mostra con evidenza che la sua stessa "struttura" prefigura un giudizio nitidamente e rigorosamente distinto in due fasi, il cui oggetto è costituito, rispettivamente, dall'eventuale riconoscimento del diritto (fase dell'an debeatur) e solo all'esito positivo di tale prima fase dalla determinazione quantitativa dell'assegno (fase del quantum debeatur).
La complessiva ratio della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, (diritto condizionato all'assegno di divorzio e riconosciuto tale diritto determinazione e prestazione dell'assegno) ha fondamento costituzionale nel dovere inderogabile di "solidarietà economica" (art. 2, in relazione all'art. 23, Cost.), il cui adempimento è richiesto ad entrambi gli ex coniugi, quali "persone singole", a tutela della "persona" economicamente più debole (cosiddetta "solidarietà postconiugale"):
sta precisamente in questo duplice fondamento costituzionale sia la qualificazione della natura dell'assegno di divorzio come esclusivamente "assistenziale" in favore dell'ex coniuge economicamente più debole (art. 2 Cost.) natura che in questa sede va ribadita , sia la giustificazione della doverosità della sua "prestazione" (art. 23 Cost.).
Sicchè, se il diritto all'assegno di divorzio è riconosciuto alla "persona" dell'ex coniuge nella fase dell'an debeatur, l'assegno è "determinato" esclusivamente nella successiva fase del quantum debeatur, non già "in ragione" del rapporto matrimoniale ormai definitivamente estinto, bensì "in considerazione" di esso nel corso di tale seconda fase (cfr. l'incipit del comma 6 dell'art. 5 cit.: "(....) il tribunale, tenuto conto (....)"), avendo lo stesso rapporto, ancorchè estinto pure nella sua dimensione economico patrimoniale, caratterizzato, anche sul piano giuridico, un periodo più o meno lungo della vita in comune ("la comunione spirituale e materiale") degli ex coniugi.
Deve, peraltro, sottolinearsi che il carattere condizionato del diritto all'assegno di divorzio comportando ovviamente la sua negazione in presenza di "mezzi adeguati" dell'ex coniuge richiedente o delle effettive possibilità "di procurarseli", vale a dire della "indipendenza o autosufficienza economica" dello stesso comporta altresì che, in carenza di ragioni di "solidarietà economica", l'eventuale riconoscimento del diritto si risolverebbe in una locupletazione illegittima, in quanto fondata esclusivamente sul fatto della "mera preesistenza" di un rapporto matrimoniale ormai estinto, ed inoltre di durata tendenzialmente sine die: il discrimine tra "solidarietà economica" ed illegittima locupletazione sta, perciò, proprio nel giudizio sull'esistenza, o no, delle condizioni del diritto all'assegno, nella fase dell'an debeatur.
Tali precisazioni preliminari si rendono necessarie, perchè non di rado è dato rilevare nei provvedimenti giurisdizionali aventi ad oggetto l'assegno di divorzio una indebita commistione tra le due "fasi" del giudizio e tra i relativi accertamenti che, essendo invece pertinenti esclusivamente all'una o all'altra fase, debbono per ciò stesso essere effettuati secondo l'ordine progressivo normativamente stabilito.
2.2. Tanto premesso, decisiva è, pertanto ai fini del riconoscimento, o no, del diritto all'assegno di divorzio all'ex coniuge richiedente , l'interpretazione del sintagma normativo "mezzi adeguati" e della disposizione "impossibilità di procurarsi mezzi adeguati per ragioni oggettive" nonchè, in particolare e soprattutto, l'individuazione dell'indispensabile "parametro di riferimento", al quale rapportare l'"adeguatezzainadeguatezza" dei "mezzi" del richiedente l'assegno e, inoltre, la "possibilitàimpossibilità" dello stesso di procurarseli.
Ribadito, in via generale salve le successive precisazioni (v., infra, n. 2.4) , che grava su quest'ultimo l'onere di dimostrare la sussistenza delle condizioni cui è subordinato il riconoscimento del relativo diritto, è del tutto evidente che il concreto accertamento, nelle singole fattispecie, dell'adeguatezzainadeguatezza" di "mezzi" e della "possibilitàimpossibilità" di procurarseli può dar luogo a due ipotesi:
1) se l'ex coniuge richiedente l'assegno possiede "mezzi adeguati" o è effettivamente in grado di procurarseli, il diritto deve essergli negato tout court;
2) se, invece, lo stesso dimostra di non possedere "mezzi adeguati" e prova anche che "non può procurarseli per ragioni oggettive", il diritto deve essergli riconosciuto.
E' noto che, sia prima sia dopo le fondamentali sentenze delle Sezioni Unite nn. 11490 e 11492 del 29 novembre 1990 (cfr. ex plurimis, rispettivamente, le sentenze nn. 3341 del 1978 e 4955 del 1989, e nn. 11686 del 2013 e 11870 del 2015), il parametro di riferimento al quale rapportare l'"adeguatezzainadeguatezza" dei "mezzi" del richiedente è stato costantemente individuato da questa Corte nel "tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio stesso, fissate al momento del divorzio" (così la sentenza delle S.U. n. 11490 del 1990, pag. 24).
Sull'attuale rilevanza del "tenore di vita matrimoniale", come parametro "condizionante" e decisivo nel giudizio sul riconoscimento del diritto all'assegno, non incide come risulterà chiaramente alla luce delle successive osservazioni la mera possibilità di operarne in concreto un bilanciamento con altri criteri, intesi
come fattori di moderazione e diminuzione di una somma predeterminata in astratto sulla base di quel parametro.
A distanza di quasi ventisette anni, il Collegio ritiene tale orientamento, per le molteplici ragioni che seguono, non più attuale, e ciò lo esime dall'osservanza dell'art. 374 c.p.c., comma 3.
A) Il parametro del "tenore di vita" se applicato anche nella fase dell'an debeatur collide radicalmente con la natura stessa dell'istituto del divorzio e con i suoi effetti giuridici: infatti, come già osservato (supra, sub n. 2.1), con la sentenza di divorzio il rapporto matrimoniale si estingue sul piano non solo personale ma anche economicopatrimoniale a differenza di quanto accade con la separazione personale, che lascia in vigore, seppure in forma attenuata, gli obblighi coniugali di cui all'art. 143 cod. civ. , sicchè ogni riferimento a tale rapporto finisce illegittimamente con il ripristinarlo sia pure limitatamente alla dimensione economica del "tenore di vita matrimoniale" ivi condotto in una indebita prospettiva, per così dire, di "ultrattività" del vincolo matrimoniale.
Sono oltremodo significativi al riguardo: 1) il brano della citata sentenza delle Sezioni Unite n. 11490 del 1990, secondo cui "(....) è utile sottolineare che tutto il sistema della legge riformata (....) privilegia le conseguenze di una perdurante (....) efficacia sul piano economico di un vincolo che sul piano personale è stato disciolto (....)" (pag. 38); 2) l'affermazione della "funzione di riequilibrio" delle condizioni economiche degli ex coniugi attribuita da tale sentenza all'assegno di divorzio: "(....) poichè il giudizio sull'an del diritto all'assegno è basato sulla determinazione di un quantum idoneo ad eliminare l'apprezzabile deterioramento delle condizioni economiche del coniuge che, in via di massima, devono essere ripristinate, in modo da ristabilire un certo equilibrio (....), è necessaria una determinazione quantitativa (sempre in via di massima) delle somme sufficienti a superare l'inadeguatezza dei mezzi dell'avente diritto, che costituiscono il limite o tetto massimo della misura dell'assegno" (pagg. 2425: si noti l'evidente commistione tra gli oggetti delle due fasi del giudizio).
B) La scelta di detto parametro implica l'omessa considerazione che il diritto all'assegno di divorzio è eventualmente riconosciuto all'ex coniuge richiedente, nella fase dell'an debeatur, esclusivamente come "persona singola" e non già come (ancora) "parte" di un rapporto matrimoniale ormai estinto anche sul piano economicopatrimoniale, avendo il legislatore della riforma del 1987 informato la disciplina dell'assegno di divorzio, sia pure per implicito ma in modo inequivoco, al principio di "autoresponsabilità" economica degli ex coniugi dopo la pronuncia di divorzio.
C) La "necessaria considerazione", da parte del giudice del divorzio, del preesistente rapporto matrimoniale anche nella sua dimensione economicopatrimoniale ("(....) il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio (....)") è normativamente ed esplicitamente prevista soltanto per l'eventuale fase del giudizio avente ad oggetto la determinazione dell'assegno (quantum debeatur), vale a dire come già sottolineato soltanto dopo l'esito positivo della fase precedente (an debeatur), conclusasi cioè con il riconoscimento del diritto all'assegno.
D) Il parametro del "tenore di vita" induce inevitabilmente ma inammissibilmente, come già rilevato (cfr., supra, sub n. 2.1), una indebita commistione tra le predette due "fasi" del giudizio e tra i relativi accertamenti.
E' significativo, al riguardo, quanto affermato dalle Sezioni Unite, sempre nella sentenza n. 11490 del 1990: "(....) lo scopo di evitare rendite parassitarie ed ingiustificate proiezioni patrimoniali di un rapporto personale sciolto può essere raggiunto utilizzando in maniera prudente, in una visione ponderata e globale, tutti i criteri di quantificazione supra descritti, che sono idonei ad evitare siffatte rendite ingiustificate, nonchè a responsabilizzare il coniuge che pretende l'assegno, imponendogli di attivarsi per realizzare la propria personalità, nella nuova autonomia di vita, alla stregua di un criterio di dignità sociale (...)".
E) Le menzionate sentenze delle Sezioni Unite del 1990 si fecero carico della necessità di contemperamento dell'esigenza di superare la concezione patrimonialistica del matrimonio "inteso come "sistemazione definitiva", perchè il divorzio è stato assorbito dal costume sociale" (così la sentenza n. 11490 del 1990) con l'esigenza di non turbare un costume sociale ancora caratterizzato dalla "attuale esistenza di modelli di matrimonio più tradizionali, anche perchè sorti in epoca molto anteriore alla riforma", con ciò spiegando la preferenza accordata ad un indirizzo interpretativo che "meno traumaticamente rompe(sse) con la passata tradizione" (così ancora la sentenza n. 11490 del 1990). Questa esigenza, tuttavia, si è molto attenuata nel corso degli anni, essendo ormai generalmente condiviso nel costume sociale il significato del matrimonio come atto di libertà e di autoresponsabilità, nonchè come luogo degli affetti e di effettiva comunione di vita, in quanto tale dissolubile (matrimonio che oggi è possibile "sciogliere", previo accordo, con una semplice dichiarazione delle parti all'ufficiale dello stato civile, a norma del D.L. 12 settembre 2014, n. 132, art. 12, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 10 novembre 2014, n. 162, art. 1, comma 1).
Ed è coerente con questo approdo sociale e legislativo l'orientamento di questa Corte, secondo cui la formazione di una famiglia di fatto da parte del coniuge beneficiario dell'assegno divorzile è espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, che si caratterizza per l'assunzione piena del rischio di una eventuale cessazione del rapporto e, quindi, esclude ogni residua solidarietà postmatrimoniale da parte dell'altro coniuge, il quale non può che confidare nell'esonero definitivo da ogni obbligo (cfr. le sentenze nn. 6855 del 2015 e 2466 del 2016). In proposito, un'interpretazione delle norme sull'assegno divorzile che producano l'effetto di procrastinare a tempo indeterminato il momento della recisione degli effetti economicopatrimoniali del vincolo coniugale, può tradursi in un ostacolo alla costituzione di una nuova famiglia successivamente alla disgregazione del primo gruppo familiare, in violazione di un diritto fondamentale dell'individuo (cfr. Cass. n. 6289/2014) che è ricompreso tra quelli riconosciuti dalla Cedu (art. 12) e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (art. 9). Si deve quindi ritenere che non sia configurabile un interesse giuridicamente rilevante o protetto dell'ex coniuge a conservare il tenore di vita matrimoniale.
L'interesse tutelato con l'attribuzione dell'assegno divorzile come detto non è il riequilibrio delle condizioni economiche degli ex coniugi, ma il raggiungimento della indipendenza economica, in tal senso dovendo intendersi la funzione esclusivamente assistenziale dell'assegno divorzile.
F) Al di là delle diverse opinioni che si possono avere sulla rilevanza ermeneutica dei lavori preparatori della L. n. 74 del 1987 (che inserì nell'art. 5 il fondamentale riferimento alla mancanza di "mezzi adeguati" e alla "impossibilità di procurarseli") in senso innovativo (come sosteneva una parte della dottrina che imputava alla giurisprudenza precedente di avere favorito una concezione patrimonialistica della condizione coniugale) o sostanzialmente conservativo del precedente assetto (si legga in tal senso il brano della sentenza delle Sezioni Unite n. 11490/1990 che considerava non giustificato "l'abbandono di quella parte dei criteri interpretativi adottati in passato per il giudizio sull'esistenza del diritto all'assegno"), non v'è dubbio che chiara era la volontà del legislatore del 1987 di evitare che il giudizio sulla "adeguatezza dei mezzi" fosse riferito "alle condizioni del soggetto pagante" anzichè "alle necessità del soggetto creditore": ciò costituiva "un profilo sul quale, al di là di quelle che possono essere le convinzioni personali del relatore, qui irrilevanti, si è realizzata la convergenza della Commissione" (cfr. intervento del relatore, sen. N. Lipari, in Assemblea del Senato, 17 febbraio 1987, 561a sed. pom., resoconto stenografico, pag. 23). Nel giudizio sull'an debeatur, infatti, non possono rientrare valutazioni di tipo comparativo tra le condizioni economiche degli ex coniugi, dovendosi avere riguardo esclusivamente alle condizioni del soggetto richiedente l'assegno successivamente al divorzio.
Le osservazioni critiche sinora esposte non sono scalfite: a) nè dalla sentenza della Corte costituzionale n. 11 del 2015, che ha sostanzialmente recepito l'orientamento in questa sede non condiviso, senza peraltro prendere posizione sulla sostanza delle censure formulate dal giudice rimettente, riducendo quella sollevata ad una mera questione di "erronea interpretazione" della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, e omettendo di considerare che, in una precedente occasione, nell'escludere la completa equiparabilità del trattamento economico del coniuge divorziato a quello del coniuge separato, aveva affermato che "(....) basterebbe rilevare che per il divorziato l'assegno di mantenimento non è correlato al tenore di vita matrimoniale" (sentenza n. 472 del 1989, n. 3 del Considerato in diritto); b) e neppure dalle disposizioni di cui al comma 9 dello stesso art. 5 secondo cui: "I coniugi devono presentare all'udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune. In caso di contestazioni il tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull'effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria" , in quanto il parametro dell'"effettivo tenore di vita" è richiamato esclusivamente al fine dell'accertamento dell'effettiva consistenza reddituale e patrimoniale dei coniugi: infatti se il primo periodo è dettato al solo fine di consentire al presidente del tribunale, nell'udienza di comparizione dei coniugi, di dare su base documentale "i provvedimenti temporanei e urgenti (anche d'ordine economico) che reputa opportuni nell'interesse dei coniugi e della prole" (art. 4, comma 8) , il secondo periodo invece, che presuppone la "contestazione" dei documenti prodotti (concernenti i rispettivi redditi e patrimoni), nell'affidare al "tribunale" le relative"indagini", cioè l'accertamento di tali componenti economicofiscali, richiama il parametro dell'"effettivo tenore di vita" al fine, non già del riconoscimento del diritto all'assegno di divorzio al "singolo" ex coniuge che lo fa valere ma, appunto, dell'accertamento circa l'attendibilità di detti documenti e dell'effettiva consistenza dei rispettivi redditi e patrimoni e, quindi, del "giudizio comparativo" da effettuare nella fase del quantum debeatur. E' significativo, al riguardo, che il riferimento agli elementi del "reddito" e del "patrimonio" degli ex coniugi è contenuto proprio nella prima parte del comma 6 dell'art. 5 relativa a tale fase del giudizio.
2.3. Le precedenti osservazioni critiche verso il parametro del "tenore di vita" richiedono, pertanto, l'individuazione di un parametro diverso, che sia coerente con le premesse.
Il Collegio ritiene che un parametro di riferimento siffatto cui rapportare il giudizio sull'"adeguatezzainadeguatezza" dei "mezzi" dell'ex coniuge richiedente 'assegno di divorzio e sulla "possibilitàimpossibilità"per ragioni oggettive"" dello stesso di procurarseli vada individuato nel raggiungimento dell'"indipendenza economica" del richiedente: se è accertato che quest'ultimo è "economicamente indipendente" o è effettivamente in grado di esserlo, non deve essergli riconosciuto il relativo diritto.
Tale parametro ha, innanzitutto, una espressa base normativa: infatti, esso è tratto dal vigente art. 337septies, primo comma, cod. civ. ma era già previsto dall'art. 155quinquies, comma 1, inserito dalla L. 8 febbraio 2006, n. 54, art. 1, comma 2, il quale, recante "Disposizioni in favore dei figli maggiorenni", stabilisce, nel primo periodo: "Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico".
La legittimità del richiamo di questo parametro e della sua applicazione alla fattispecie in esame sta, innanzitutto, nell'analogia legis (art. 12, comma 2, primo periodo, delle disposizioni sulla legge in generale) tra tale disciplina e quella dell'assegno di divorzio, in assenza di uno specifico contenuto normativo della nozione di "adeguatezza dei mezzi", a norma della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, trattandosi in entrambi i casi, mutatis mutandis, di prestazioni economiche regolate nell'ambito del diritto di famiglia e dei relativi rapporti.
In secondo luogo, il parametro della "indipendenza economica" se condiziona negativamente il diritto del figlio maggiorenne alla prestazione ("assegno periodico") dovuta dai genitori, nonostante le garanzie di uno status filiationis tendenzialmente stabile e permanente (art. 238 cod. civ.) e di una specifica previsione costituzionale (art. 30, comma 1) che riconosce anche allo stesso figlio maggiorenne il diritto al mantenimento, all'istruzione ed alla educazione , a maggior ragione può essere richiamato ed applicato, quale condizione negativa del diritto all'assegno di divorzio, in una situazione giuridica che, invece, è connotata dalla perdita definitiva dello status di coniuge quindi, dalla piena riacquisizione dello status individuale di "persona singola" e dalla mancanza di una garanzia costituzionale specifica volta all'assistenza dell'ex coniuge come tale. Nè varrebbe obiettare che l'art. 337ter c.c., comma 4, n. 2, (corrispondente all'art. 155 c.c., comma 4, n. 2, nel testo sostituito dalla citata L. n. 54 del 2006, art. 1, comma 1) fa riferimento al "tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori": tale parametro si riferisce esclusivamente al figlio minorenne e ai criteri per la determinazione ("quantificazione") del contributo di "mantenimento", inteso lato sensu, a garanzia della stabilità e della continuità dello status filiationis, indipendentemente dalle vicende matrimoniali dei genitori.
In terzo luogo, a ben vedere, anche la ratio dell'art. 337septies c.c., comma 1, come pure quella della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, alla luce di quanto già osservato (cfr., supra, sub n. 2.2) è ispirata al principio dell'"autoresponsabilità economica". A tale riguardo, è estremamente significativo quanto affermato da questa Corte con la sentenza n. 18076 del 2014, che ha escluso l'esistenza di un obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente (nella specie, entrambi ultraquarantenni), ovvero di un diritto all'assegnazione della casa coniugale di proprietà del marito, sul meropresupposto dello stato di disoccupazione dei figli, pur nell'ambito di un contesto di crisi economica e sociale:
"(....) La situazione soggettiva fatta valere dal figlio che, rifiutando ingiustificatamente in età avanzata di acquisire l'autonomia economica tramite l'impegno lavorativo, chieda il prolungamento del diritto al mantenimento da parte dei genitori, non è tutelabile perchè contrastante con il principio di autoresponsabilità che è legato alla libertà delle scelte esistenziali della persona (....)".
Tale principio di "autoresponsabilità" vale certamente anche per l'istituto del divorzio, in quanto il divorzio segue normalmente la separazione personale ed è frutto di scelte definitive che ineriscono alla dimensione della libertà della persona ed implicano per ciò stesso l'accettazione da parte di ciascuno degli ex coniugi irrilevante, sul piano giuridico, se consapevole o no delle relative conseguenze anche economiche.
Questo principio, inoltre, appartiene al contesto giuridico Europeo, essendo presente da tempo in molte legislazioni dei Paesi dell'Unione, ove è declinato talora in termini rigorosi e radicali che prevedono, come regola generale, la piena autoresponsabilità economica degli ex coniugi, salve limitate anche nel tempo eccezioni di ausilio economico, in presenza di specifiche e dimostrate ragioni di solidarietà.
In questa prospettiva, il parametro della "indipendenza economica" è normativamente equivalente a quello di "autosufficienza economica", come è dimostrato tenuto conto della derivazione di tale parametro dall'art. 337septies c.c., comma 1 dal citato D.L. n. 132 del 2014, art. 12, comma 2, laddove non consente la formalizzazione della separazione consensuale o del divorzio congiunto dinanzi all'ufficiale dello stato civile "in presenza (....) di figli maggiorenni (....) economicamente non autosufficienti".
2.4. E' necessario soffermarsi sul parametro dell'"indipendenza economica", al quale rapportare l'"adeguatezzainadeguatezza" dei "mezzi" dell'ex coniuge richiedente l'assegno di divorzio, nonchè la "possibilitàimpossibilità"per ragioni oggettive"" dello stesso di procurarseli.
Va preliminarmente osservato al riguardo, in coerenza con le premesse e con la stessa nozione di "indipendenza" economica, che: a) il relativo accertamento nella fase dell'an debeatur attiene esclusivamente alla persona dell'ex coniuge richiedente l'assegno come singolo individuo, cioè senza alcun riferimento al preesistente rapporto matrimoniale; b) soltanto nella fase del quantum debeatur è legittimo procedere ad un "giudizio comparativo" tra le rispettive "posizioni" (lato sensu intese) personali ed economicopatrimoniali degli ex coniugi, secondo gli specifici criteri dettati dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, per tale fase del giudizio.
Ciò premesso, il Collegio ritiene che i principali "indici" salvo ovviamente altri elementi, che potranno eventualmente rilevare nelle singole fattispecie per accertare, nella fase di giudizio sull'an debeatur, la sussistenza, o no, dell'indipendenza economica" dell'ex coniuge richiedente l'assegno di divorzio e, quindi, l'adeguatezza", o no, dei "mezzi", nonchè la possibilità, o no "per ragioni oggettive", dello stesso di procurarseli possono essere così individuati:
1) il possesso di redditi di qualsiasi specie;
2) il possesso di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari, tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu "imposti" e del costo della vita nel luogo di residenza ("dimora abituale": art. 43 c.c., comma 2) della persona che richiede l'assegno;
3) le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale, in relazione alla salute, all'età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo;
4) la stabile disponibilità di una casa di abitazione.
Quanto al regime della prova della non "indipendenza economica" dell'ex coniuge che fa valere il diritto all'assegno di divorzio, non v'è dubbio che, secondo la stessa formulazione della disposizione in esame e secondo i normali canoni che disciplinano la distribuzione del relativo onere, allo stesso spetta allegare, dedurre e dimostrare di "non avere mezzi adeguati" e di "non poterseli procurare per ragioni oggettive". Tale onere probatorio ha ad oggetto i predetti indici principali, costitutivi del parametro dell'indipendenza economica", e presuppone tempestive, rituali e pertinenti allegazioni e deduzioni da parte del medesimo coniuge, restando fermo, ovviamente, il diritto all'eccezione e alla prova contraria dell'altro (cfr. L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 10).
In particolare, mentre il possesso di redditi e di cespiti patrimoniali formerà normalmente oggetto di prove documentali salva comunque, in caso di contestazione, la facoltà del giudice di disporre al riguardo indagini officiose, con l'eventuale ausilio della polizia tributaria (L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 9) , soprattutto "le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale" formeranno oggetto di prova che può essere data con ogni mezzo idoneo, anche di natura presuntiva, fermo restando l'onere del richiedente l'assegno di allegare specificamente (e provare in caso di contestazione) le concrete iniziative assunte per il raggiungimento dell'indipendenza economica, secondo le proprie attitudini e le eventuali esperienze lavorative.
2.5. Pertanto, devono essere enunciati i seguenti principi di diritto.
Il giudice del divorzio, richiesto dell'assegno di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 6, come sostituito dalla L. n. 74 del 1987, art. 10, nel rispetto della distinzione del relativo giudizio in due fasi e dell'ordine progressivo tra le stesse stabilito da tale norma:
A) deve verificare, nella fase dell'an debeatur informata al principio dell'"autoresponsabilità economica" di ciascuno degli ex coniugi quali "persone singole", ed il cui oggetto è costituito esclusivamente dall'accertamento volto al riconoscimento, o no, del diritto all'assegno di divorzio fatto valere dall'ex coniuge richiedente , se la domanda di quest'ultimo soddisfa le relative condizioni di legge (mancanza di "mezzi adeguati" o, comunque, impossibilità "di procurarseli per ragioni oggettive"), con esclusivo riferimento all'"indipendenza o autosufficienza economica" dello stesso, desunta dai principali "indici" salvo altri, rilevanti nelle singole fattispecie del possesso di redditi di qualsiasi specie e/o di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari (tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu "imposti" e del costo della vita nel luogo di residenza dell'ex coniuge richiedente), delle capacità e possibilità effettive di lavoro personale (in relazione alla salute, all'età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo), della stabile disponibilità di una casa di abitazione; ciò, sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte dal richiedente medesimo, sul quale incombe il corrispondente onere probatorio, fermo il diritto all'eccezione ed alla prova contraria dell'altro ex coniuge;
B) deve "tener conto", nella fase del quantum debeatur informata al principio della "solidarietà economica" dell'ex coniuge obbligato alla prestazione dell'assegno nei confronti dell'altro in quanto "persona" economicamente più debole (artt. 2 e 23 Cost.), il cui oggetto è costituito esclusivamente dalla determinazione dell'assegno, ed alla quale può accedersi soltanto all'esito positivo della prima fase, conclusasi con il riconoscimento del diritto , di tutti gli elementi indicati dalla norma ("(....) condizioni dei coniugi, (....) ragioni della decisione, (....) contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, (....) reddito di entrambi (....)"), e "valutare" "tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio", al fine di determinare in concreto la misura dell'assegno di divorzio; ciò sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte, secondo i normali canoni che disciplinano la distribuzione dell'onere della prova (art. 2697 cod. civ.).
2.6. Venendo ai motivi del ricorso, da esaminare congiuntamente alla luce dei principi di diritto poc'anzi enunciati, essi sono infondati.
La sentenza impugnata, nell'escludere il diritto, invocato dalla L., all'attribuzione dell'assegno divorzile, non ha avuto riguardo, in concreto, al criterio della conservazione del tenore di vita matrimoniale, che pure ha genericamente richiamato ma sul quale non ha indagato.
In tal modo, la Corte di merito si è sostanzialmente discostata dall'orientamento giurisprudenziale in questa sede criticato, come rilevato dal P.G., e tuttavia è pervenuta a una conclusione conforme a diritto, avendo ritenuto in definitiva che l'attrice non avesse assolto l'onere di provare la sua non indipendenza economica, all'esito di un giudizio di fatto ad essa riservato adeguatamente argomentato, dal quale emerge che la L. è imprenditrice, ha un'elevata qualificazione culturale, possiede titoli di alta specializzazione e importanti esperienze professionali anche all'estero e che, in sede di separazione, i coniugi avevano pattuito che nessun assegno di mantenimento fosse dovuto dal G..
La motivazione in diritto della sentenza impugnata dev'essere quindi corretta (come si è detto sub n. 2.1), coerentemente con i principi sopra enunciati (sub n. 2.5, lett. A).
3. In conclusione, il ricorso è rigettato.
Le spese del presente giudizio devono essere compensate, in considerazione del mutamento di giurisprudenza su questione dirimente per la decisione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio.
Doppio contributo a carico della ricorrente, come per legge.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi.
Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2017.
Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. ROMIS Vincenzo Presidente Dott. MONTAGNI Andrea Consigliere Dott. GIANNITI Pasquale Consigliere
Dott. MICCICHE’ Loredana rel. Consigliere Dott. PAVICH Giuseppe Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI BRESCIA;
nei confronti di:
(OMISSIS);
avverso la sentenza n. 2702/2014 GIP TRIBUNALE di MANTOVA, del 07/07/2016; sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LOREDANA MICCICHE';
lette le conclusioni del PG Dott. Francesca Loy, che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Il Procuratore della Repubblica presso la Corte d'Appello di Brescia ricorre avverso la sentenza resa dal
G.U.P. del Tribunale di Mantova che, nel definire ex art. 444 c.p.p., il processo a carico di G.R. per il reato di cui agli artt.589, commi 1 e 2, c.p. applicando la sanzione concordata tra le parti, ometteva la irrogazione della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, così violando la espressa disposizione normativa di cui al D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 222, commi 2 e 2 bis, e succ.modif..
2. Il P.G. ha concluso per l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente al punto oggetto di censura.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato.
2. Con la sentenza di patteggiamento vanno infatti applicate le sanzioni amministrative accessorie, essendo il
divieto eccezionale dell'art. 445 c.p.p., limitato alle pene accessorie ed alle misure di sicurezza diverse dalla confisca (Sez. Un., 27 maggio21 luglio 1998, n.8488, Rv 201982, Bosio).
3. Ne consegue che con la sentenza ex art. 444 c.p.p., deve essere disposta la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida prevista dall'art. 222 C.d.S., e ciò perfino se essa sia stata già disposta dal prefetto, posto che una volta stabilita dal giudice la durata della sospensione, da questa dovrà detrarsi il periodo di tempo eventualmente già scontato. Non rileva che nella richiesta di patteggiamento non sia stata fatta menzione della sanzione amministrativa, giacchè essa non può formare oggetto dell'accordo delle parti, limitato alla pena, e consegue di diritto alla sollecitata pronuncia. Nè potrebbe opporsi che la sanzione amministrativa verrebbe applicata in difetto di accertamento del reato, in quanto nel patteggiamento, anche se non si fa luogo all'affermazione della responsabilità dell'imputato, si procede comunque all'accertamento del reato, sia pure sui generis, essendo fondato sulla descrizione del fatto reato, nei suoi elementi, soggettivo ed oggettivo, contenuta nel capo di imputazione, e non contestata dalle parti nel formulare la richiesta, perchè stimata rispondente al vero o, quanto meno, non contestabile (Sez. 4, 27.7.2005, n. 27931, Rv. 232015; Sez. 4, 8.10.2007, n. 36868, Rv. 237231; Sez. 6, 29.5.2008, n. 40591, Rv. 241359).
4. Stante la violazione di legge in relazione al trattamento sanzionatorio, va disposto di conseguenza l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla omessa sospensione della patente di guida.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata limitatamente alla mancata applicazione della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida e rinvia sul punto al Tribunale di Mantova.
Motivazione semplificata.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 6 aprile 2017.
Depositato in Cancelleria il 18 aprile 2017
Trib. Roma, Sent., 18012017
Fatto Diritto
P.Q.M.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA
... omissis...
Svolgimento del processo Motivi
della decisione
Con l'atto di citazione introduttivo del presente procedimento, Z.D., premesso di essere proprietario
dell'appartamento sito in Roma, viale ... e di aver previo rilascio delle necessarie autorizzazioni
amministrative e previa comunicazione all'amministratore del condominio adibito
alcune camere del suddetto appartamento ad attività di bed and breakfast a partire dal 17.1.2012 e che il Condominio
convenuto in esito all'assemblea straordinaria del 16.2.2012 aveva espresso parere contrario allo
svolgimento dell'attività di bed and breakfast nello stabile condominiale, intimandogli di porre fine alla
medesima. Pertanto l'attore assumendo che l'attività di bed and breakfasf, tenuto anche conto della
disciplina legislativa di settore, non poteva ritenersi rientrare tra quelle inibite dal regolamento di condominio:
1) difettando un esplicito divieto al riguardo;
2) dovendosi considerare, quanto all'obbligo di destinazione degli alloggi a civile abitazione prevista nel
regolamento condominiale, che la legge regionale n. 16 del 24.10.2016 prevede che l'appartamento in cui è
reso il servizio di bed and breakfast rientra nella categoria della civile abitazione, la quale comprende tutti gli
immobili appartenenti al gruppo catastale A ad eccezione di quella ... relativa ad uffici e studi privati;
3) che quanto sopra era comprovato dalla circostanza che l'attore continuava a risiedere nell'immobile
contemporaneamente ai propri ospiti;
4} che non si era tenuto, altresì, conto che altro appartamento sito sullo stesso piano, l'int. ... era adibito a
studio legale dell'amministratore del condominio, con uso, quindi, non rientrante tra le civili abitazioni;
5) che l'attività impiantata nell'unità immobiliare di sua proprietà ed interessante tre stanze doppie, non
determinava, poi, pregiudizio alcuno per la tranquillità e il decoro del condominio, non era rumorosa né
contraria all'igiene o alla sicurezza;
6) che comunque i divieti di cui al regolamento condominiale dovevano intendersi limitatati a quelli
esplicitamente indicati e se al di fuori di questi ne doveva essere valutata l'effettiva idoneità della
destinazione a provocare gli inconvenienti cui con il regolamento di condominio si voleva ovviare.
L'attore chiedeva pertanto declaratoria di nullità o annullamento della delibera adottata dal Condominio
convenuto con l'assemblea del 16.12.2012.
Ritualmente integratasi il contraddittorio il condominio convenuto chiedeva rigettarsi la domanda attorea
assumendo che l'attività de qua rientrava tra quelle vietate dal regolamento di condominio e che comunque
era tale da produrre ì pregiudizi indicati come non voluti dal regolamento di condominio, arrecando pericolo
alla tranquillità, al decoro ed alla sicurezza. Ciò per l'afflusso di persone, l'aumento del rumore, l'utilizzo del
garage e dovendosi interpretare le indicazioni regolamentari come elencazione esemplificativa e non
tassativa e non potendo pertanto ritenersi esclusi dai divieti regolamentari situazioni pur non espressamente
menzionate. Deduceva il condominio che in due diverse occasioni due ospiti del bed and breakfast che non
sapevano a chi chiedere indicazioni avevano suonato alla porta di una condomina arrecandole disturbo.
La domanda attorea è fondata e va accolta.
Rileva richiamare, quanto alla valutazione di legittimità dell'attività in essere nell'unità abitativa de qua,
l'esegesi e la portata applicativa della clausola contenuta negli artt. 16 e 30 del regolamento di condominio la
cui natura contrattuale non ha formato oggetto di contestazione tra le parti.
Recitano i suddetti articoli, nelle parti che interessano il presente procedimento: quanto all'art. 16;
appartamenti non possono essere adibiti ad uso diverso dall'abitazione o ufficio professionale privato, con
divieto di adibirli ad uso di gabinetti di cura od ambulatori, nonché ad usi contrari alla piena tranquillità,
all'igiene, alla sicurezza, alla decenza, alla più rigida moralità ed al buon nome del condominio". Prevede,
inoltre, l'art. 30: "gli appartamenti aventi accesso dall'androne" ove è sito l'appartamento dell'attore,
"devono essere esclusivamente adibiti ad uso civile abitazione ed è inoltre vietato qualsiasi altro uso contrario
alla igiene, al decoro, alla moralità, alla sicurezza del fabbricato o che, comunque, turbi il pacifico godimento degli altri condomini".
Ciò posto deve rilevarsi, sotto un primo profilo, che come espresso da orientamento consolidato della
Suprema Corte, l'imposizione di limiti di destinazione alla facoltà di godimento dei condomini sulle proprietà
immobiliari in esclusiva proprietà, può avvenire mediante l'elencazione delle attività vietate, oppure con
riferimento ai pregiudizi che si intendono evitare. Quanto alla prima ipotesi, il regolamento di condominio de
quo contiene una specifica inibizione solo con riferimento ad attività "ad uso di gabinetti di cura od
ambulatori", destinazione del tutto diversa da quella in oggetto.
Anche nella parte in cui gli articoli in oggetto fanno riferimento al tipo di pregiudizio da evitare, (laddove
richiamano gli usi contrari "alla tranquillità, all'igiene, alla sicurezza, alla decenza, alla più rigida moralità ed al
buon nome del condominio..."), non consentono l'inibizione dell'attività oggetto di causa. Per avere tale
valenza limiti e divieti devono, infatti, essere tali da escludere "ogni possibilità di equivoco in una materia che
attiene alla compressione di facoltà inerenti alle proprietà esclusive dei singoli condomini" ed essere quindi
connotati dalla massima chiarezza con riferimento "alle attività ed ai correlati pregiudizi che la previsione
regolamentare intende impedire". Ciò in quanto "una clausola chiara nell'imporre un divieto di ampia
latitudine, ma non altrettanto alle ragioni che lo giustificano, non soddisfa i requisiti di validità, poiché non
consente di apprezzare se la compromissione delle facoltà inerenti allo statuto proprietario corrisponda ad un
interesse meritevole di tutela" (cfr. Cass. 9564/1997; Cass. Ord. 19229/2014, Cass. 20237/2009; Cass.
16832/2010).
Peraltro, anche a voler prescindere da quanto sopra, la domanda attorea va accolta avuto riguardo a quanto
segue. Come espresso da orientamento della Suprema Corte, di cui si condivide l'impostazione, "la previsione
contenuta in un regolamento condominiale convenzionale, di limiti alla destinazione delle proprietà esclusive,
incidendo non sull'estensione ma sull'esercizio del diritto di ciascun condomino, va ricondotta alla categoria
delle servitù atipiche e non delle obbligazioni propter rem, difettando il presupposto dell'agere necesse nel
soddisfacimento di un corrispondente interesse creditorio. Ne consegue che l'opponibilità di tali limiti ai terzi
acquirenti va regolata secondo le norme proprie delle servitù e dunque alla trascrizione del relativo peso,
mediante l'indicazione nella nota di trascrizione, delle specifiche clausole limitative, ex art. 2659, comma 1,
n. 2 e 2665 c.c., non essendo invece sufficiente il generico rinvio al regolamento di condominio” (cfr. Cass.
21024/2016; Cass. 17493/2014).
Nel caso di specie, non ha formato oggetto di contestazione e risulta dal contratto di compravendita
dell'immobile de qua, acquistato dall'attore per atto notaio M.L. di Roma in data 22.12.2010 (v. atto di
compravendita, doc. 1 nel fascicolo di parte attrice), che l'indicazione nella nota di trascrizione ha riguardato
la sussistenza del regolamento di condominio e non delle specifiche clausole limitative in esso contenute.
Consegue a tutto quanto sopra che in accoglimento della domanda attorea va annullata la delibera adottata
in data 16.2.2012 con la quale il Condominio convenuto si è espresso per l'inibizione dell'attività di bed and
breakfast intimando all'attore di porre fine alla medesima.
Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa, così provvede:
annulla
la delibera in data 16.2.2012 con la quale il Condominio convenuto fa divieto a D.Z. di utilizzare
come bed and breakfast l'unità abitativa dell'interno n X del piano rialzato del Condominio di via ... in Roma;
condanna
il Condominio convenuto alla rifusione delle spese di lite che liquida in favore dell'attore in
complessivi € 3.500,00, di cui € 450,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese
Roma, 10 gennaio 2017
Depositata in cancelleria il 18 gennaio 2017
Cassazione Civile
Cass. civ. Sez. II, Sent., 20042017,n. 9998
Fatto Diritto P.Q.M.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MIGLIUCCI Emilio Presidente
Dott.
ORILIA Lorenzo Consigliere
Dott.
FEDERICO Guido rel.
Consigliere Dott.
CRISCUOLO Mauro Consigliere
Dott.
BESSO MARCHEIS Chiara Consigliere
ha
pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 154872013
proposto da:
P.A.;
ricorrente
contro
T.S.;
intimato
avverso
la sentenza n. 2058/2013 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 11/04/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/03/2017 dal Consigliere Dott. GUIDO
FEDERICO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo che concluso per
l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
In data 12.10.2000, il Presidente del Tribunale di Roma, nel pronunciare sentenza di separazione giudiziale,
assegnava a P.A., affidataria dei figli minori, la casa familiare, di proprietà esclusiva del marito T.S..
Precedentemente, in data 25.2.2000, l'assemblea condominiale aveva deliberato l'esecuzione di importanti
lavori sull'edificio, comprendente l'immobile assegnato alla ricorrente, per i quali il T. aveva pagato la somma
complessiva di Euro 7.291,08.
Su istanza di quest'ultimo, il Tribunale di Roma, con decreto n. 19486 del 22.7.2002, ingiungeva alla P., in
ragione del diritto di abitazione esercitato sull'immobile, la rifusione degli esborsi sostenuti dal T..
Avverso tale provvedimento proponeva opposizione la P., deducendo la natura straordinaria dei lavori e
l'applicabilità al caso concreto delle norme sulla locazione.
Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 1500 del 2005, rigettava l'opposizione, sul rilievo che, essendole
stato attribuito, in sede di separazione personale, il diritto di abitazione sulla casa familiare di esclusiva
proprietà del coniuge T.S., le incombessero le spese di custodia, manutenzione ed amministrazione del bene.
Rilevava in proposito che il diritto della T. era riconducibile al diritto reale di abitazione di cui all'art. 1022 c.c.,
il che comportava che, nella ripartizione degli oneri di ordinaria e straordinaria manutenzione valessero i
medesimi criteri stabiliti in materia di usufrutto.
L'impugnazione della P. veniva rigettata dalla Corte di Appello di Roma, con la sentenza n. 2058/2013
dell'11.4.2013.
La Corte d'Appello evidenziava che l'appellante non aveva censurato nè che le spese inerissero ad oneri di
ordinaria manutenzione, nè l'applicabilità al caso di specie dell'art. 1022 c.c., con applicazione delle norme
sull'usufrutto.
Il motivo di appello, avente ad oggetto l'anteriorità della delibera condominiale e del contratto di appalto
rispetto al diritto di abitazione accordatole in sede di separazione, si sostanziava in una "domanda nuova".
In ogni caso, posto che la P. non aveva impugnato la sussunzione della fattispecie nell'ambito degli artt.
1022 e 1004 c.c., poco rilevava che i lavori fossero stati deliberati prima dell'inizio dì esercizio del suo diritto
di abitazione, giacchè ciò che importava era che della situazione avesse beneficiato quale titolare del diritto di
abitazione;
Le considerazioni sull'esborso che avrebbe comportato un suo diritto alla ripetizione, erano anch'esse
"nuove" e non pertinenti, tanto più che il suddetto diritto di ripetizione era negato in radice proprio dalla
disposizione dell'art. 1004 c.c. Per la cassazione di detta sentenza ha proposto ricorso la P., sulla base di un
unico motivo, illustrato da memorie ex art. 378 c.p.c..
T.S. non ha svolto difese.
Motivi della decisione
Con l'unico, articolato, motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 81, 100, 183 e 345 c.p.c. (in
relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la Corte territoriale configurato come "domanda
nuova" la questione concernente l'anteriorità della Delib. condominiale (25 febbraio 2000) e del contratto di
appalto (13.5.2000) rispetto al diritto di abitazione accordatole in sede di separazione (12.10.2000),
nonostante si trattasse di una delle condizioni dell'azione promossa dal T..
Censura, inoltre, la qualificazione da parte della Corte d'Appello in termini di mera manutenzione ordinaria
delle opere per cui è causa, non avendo il giudice considerato che l'obbligo di pagare i contributi per le spese
riguardanti opere di ristrutturazione delle parti comuni dell'edificio grava su colui che era proprietario al
momento dell'adozione delle delibera di approvazione delle spese stesse.
Il motivo è fondato.
Ed invero la questione relativa alla anteriorità della deliberazione delle opere (oltre che della loro esecuzione)
rispetto al provvedimento di assegnazione della ex casa coniugale, in quanto involge la contestazione di un
fatto costitutivo del diritto azionato, integra una mera difesa e non costituisce dunque eccezione in senso
stretto, con la conseguenza che la parte, contrariamente a quanto affermato dalla Corte d'Appello, non era
incorsa in alcuna decadenza processuale e la Corte avrebbe dovuto tenere conto dell'anteriorità della Delib.
assembleare resa
il 25 febbraio 2000 rispetto
all'assegnazione della casa coniugale, disposta con
provvedimento del Presidente del Tribunale di Roma del successivo 12 ottobre dello stesso anno.
Da ciò discende, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, che grava sul T. l'obbligo di pagamento delle
spese suddette e dunque l'infondatezza della domanda di rimborso da costui spiegata nei confronti della P..
Conviene premettere che, secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, poichè le spese necessarie per la
conservazione ed il godimento delle parti comuni costituiscono l'oggetto di un'obbligazione "propter rem", la
qualità di debitore dipende dalla titolarità del diritto di proprietà o di altro diritto reale sulla cosa, e quindi nel
caso di specie dalla data di costituzione del diritto di abitazione (Cass. 23291/2006).
Questa Corte ha altresì affermato che l'obbligazione di ciascun condomino di contribuire alle spese per la
conservazione dei beni comuni nasce nel momento in cui è' necessario eseguire le relative opere (Cass,.
6323/2003), mentre la delibera dell'assemblea di approvazione della spesa rende liquido il debito.
L'anteriorità della delibera condominiale sulle spese oggetto di causa rispetto alla costituzione del diritto di
abitazione in capo all'odierna ricorrente, come si è visto rilevabile d'ufficio, esclude dunque che la ricorrente
medesima sia tenuta al pagamento delle stesse, dovendo disattendersi la contraria statuizione della Corte
d'Appello, secondo cui ciò che rilevava era che di detti lavori quest'ultima abbia beneficiato.
In accoglimento del ricorso la sentenza impugnata va dunque cassata e, poichè non sono necessari ulteriori
accertamenti di fatto la causa può essere decisa nel merito, con accoglimento dell'opposizione proposta
dall'odierna ricorrente e revoca del decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti.
Considerata la peculiarità della questione e le ragioni della decisione, sussistono i presupposti per disporre
l'integrale compensazione tra le parti delle spese dell'intero giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso.
Cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, in accoglimento dell'opposizione proposta da
P.A. avverso il decreto ingiuntivo emesso, su ricorso di T.S., dal Presidente del Tribunale di Roma il
22/7/2002, revoca il decreto opposto.
Dichiara interamente compensate tra le parti le spese dell'intero giudizio.
Cosi deciso Roma, il 8 marzo 2017.
Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2017